Rispondo con molta pacatezza (di cui...bada ben bada ben...sono capace) dopo essermi chiarito con Legacci. Proprio oggi leggevo un (solito) bell'articolo del Prof.U.Galimberti, in risposta ad un collega che lo accusava, senza mezzi termini, di essere stato artefice di un salto del fossato dall'altra sponda del quale oggi accusa, senza se e senza ma, non tanto la Psicologia in sé, quanto lo Psicologismo devastante che va diffondendosi a velocità mediaticamente esponenziali. Mi piacerebbe essere risentito nei confronti di Galimberti, ma, ahimé, ragiona e ragiona bene. La parte della questione che mi interessa, e che voglio riproporre qui, è legata ancora ai "toni" con i quali esercitiamo "pubblicamente" questa professione; i toni con cui appprocciamo chi, come "minimum", viene da zone "altre" del sapere, forse più elevate, non so, ma certo da sempre zone nelle quali, se non alle altissime vette, il nostro sapere si è radicato poco ed in mezzo a mille diffidenze. Ora, io concordo con Galimberti nel dire che in molta della Psicologia vi sta quell'aver abdicato alla propria Psiche che in ogni uomo è stato da sempre ricettacolo e fonte di input/output filosofici, scientifici, religiosi, artistici amalgamati ad arte per poi dar luogo a spazzini, ingegneri, contadini, commercianti, musici ecc; ma il punto è proprio qui. Dov'è quella umanità che in noi "operatori" dovrebbe risuonare senza colpe? Leggo il suo intervento, "aporia", e dopo poco "me cala la palpebra", subodoro da lontano i percorsi ormai fatti e rifatti mille volte, con quel tono tanto kennediano, corretto pulito, piano, educato ma che, a me, fa solo venir sonno. Non so, ma è una colpa oggi avere passioni e trasmetterle?Certo talvolta si è eccessivi, e me ne scuso, ma possibile che ci siamo tutti già così abituati ad essere sempre sul lettino? Perché mai l'analisi dovrebbe smorzare tutto? ma dove è scritto? Ancora e soltanto in nome dell'ormai vetusta sublimazione? Ecco che cosa non mi va, parafrasando Galimberti, nell'IT applicata al nostro lavoro; non mi va quella sottile e subdola impressione che tutto sia "a portata di click"!! E dietro i discorsi sulla comodità, sulla modernità, sul progresso NOI SIAMO CHIAMATI AD INTERROGARCI; PUR SENZA MAI SCORDARE CHE L'OCCHIO CHE GUARDA NON PUO OSSERVARE SE STESSO dobbiamo essere attentissimi a quali conseguenze questa "modernità" può implicare, soprattutto se vissuta come ineluttabile, come qualcosa che rischiamo di "perdere". E per me questo interrogarmi significa rimettere al centro, debitamente dotato di briglie, il nostro dàimon, direbbe Hillman, quello che in noi vive paganamente di eccessi a dispetto d'ogni interpretazione e si manifesta talvolta selvaggiamente senza chiederci permesso. Ecco che cosa ho visto nell'intervento di minimum; una continua ed agevolata repressione di tutto questo che in noi "vonta" e reclama spazio. Non c'era e non c'è nessun intento giacobino in questo; ma se siamo subito pronti a scendere in campo a difesa di Maria Antonietta e delle sue brioches perché la regina è sempre la regina......Perché non siamo più disposti a prenderci " a parole" senza paura di offendere qualcosa del nostro cammino, della nostra formazione, dei nostri valori? Questa è la faccia della tolleranza? Non dire nulla che l'altro non sia disposto ad ascoltare? Scusate, ma se è di questo che si tratta (con l'avallo del mezzo ultramoderno) mi tengo le accuse e mi salvaguardo miei toni.
Continuo a ritenere, come è stato detto e scritto, che questa IT è al momento assolutamente inadatta "a fare psiche, anima", se non incidentalmente. Anche ora, mentre scrivo, coltivo mille dubbi sulla possibilità che qualcuno receda da ciò che ha già affermato su quanto ho detto e scambiato con "minimum" dopo aver letto questo intervento. Ma la discussione rimane aperta.
Ieri ero a Ravenna ad una mostra che traccia le direttrici di un percorso dal Romanticismo (in pittura) fino all'Informale (Pollock, De Kooning ecc).
Da un lato l'urlo concentrato di Renoir che in uno spazio ridotto di luce ritrae un uomo tra due alberi senza che questo strappi al nostro cuore una vera passione; dall'altro le accelerazioni della Psiche dell'Informale, le strida, i vortici depressivi che si susseguono l'uno all'altro, le incredibili combustioni di Burri su materie appunto informi o primigene e altro ancora. Signori, questo è successo da circa cinquant'anni....ce ne siamo accorti???
Appassionatamente Psicoterapeuta
Dott.Mario Bianchini
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Che cosa ci induce a soffrire piu' di quanto potremmo? Fragile autostima, depressione, insopprimibili sensi di colpa, disamore di sé, sfiducia nel proprio valore e nelle proprie capacità, frustrazione, rabbia, impotenza, senso di inadeguatezza, senso di vuoto; dipendenza e dedizione a legami funesti, dominio e sottomissione. Spesso questi disturbi si manifestano attraverso sintomi e malattie fisiche di stress quali: insonnia, cefalea, ansia, disturbi gastro-intestinali, respiratori, tensione muscolari, disfunzioni sessuali… Altre volte possono complicarci notevolmente l’esistenza, inquinando le varie sfere di vita. Tutto è più complicato, faticoso o doloroso: il lavoro, le relazioni d’amore e d’amicizia, la sessualità.
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